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Furibonda cresce la notte. Poesie e lettere inedite

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L’opera raccoglie liriche e lettere di Alda Merini risalenti al periodo tarantino, anni centrali per la formazione artistica della poetessa milanese, segnati dal matrimonio con Michele Pierri e dalle vicende che seguirono. L’editore Piero Manni, che in passato ha avuto modo di frequentare la Merini, attraverso questo volume, dato alle stampe nel 2016, ha voluto offrire un contributo di ricerca per comprendere meglio la personalità di una letterata complessa non solo nei suoi versi, ma forse ancora di più nelle sue scelte di vita.

Nell’introduzione Silvano Trevisani si pone in antitesi con i critici che riducono il matrimonio con Pierri a un escamotage della vedova per trovare una sistemazione sicura. Il rito fu celebrato solo in forma religiosa per consentire alla Merini di mantenere la pensione di reversibilità, ereditata dal primo marito Ettore Carniti (morto di cancro nel 1981), di conseguenza la sposa aveva già una sicurezza economica. Le lettere scritte a Michele testimoniano una passione molto forte per un uomo culturalmente e umanamente di valore, medico e poeta, a cui si aggiungono le telefonate fatte quasi giornalmente per convincere Pierri della sincerità di un amore senza secondi fini. Altre versioni raccontante dalla Merini, spiega Trevisani, vanno prese cum grano salis, perché chi ha conosciuto Alda sa quanto amasse romanzare il racconto della sua vita.

Il poeta tarantino fin dai primi corteggiamenti telefonici non nascose le sue perplessità, probabilmente per l’eccessiva differenza di età (già anziano lui, cinquantenne lei), tanto che in una delle sue ultime lettere la Merini si dichiarava arresa e in una lettera a Giacinto Spagnoletti addirittura confessava di volersi fare suora di clausura con il nome di suor Michela, in onore all’uomo che aveva tanto amato e che non avrebbe mai dimenticato. Una sofferta vicenda d’amore, che però ebbe un felice epilogo con il matrimonio tra i due letterati celebrato il 6 ottobre 1984.

Trevisani sfata anche il mito di un ricovero in manicomio della Merini a Taranto con l’insorgere della malattia, che portò alla morte Michele Pierri il 24 gennaio 1988, evento in effetti facile da contraddire. Infatti Alda sarebbe entrata nella struttura nel 1987, quando da tempo in seguito alla legge Basaglia gli ospedali psichiatrici non ricoveravano più e, ancora più importante, sembra che un manicomio a Taranto e nella sua provincia non sia mai esistito. In realtà la poetessa rientrò a Milano e mantenne i contatti con i figli di Pierri, in particolare con Mario verso cui provava un affetto molto forte, come sostiene in una poesia riproposta nel volume in cui spiega che anche il padre si era reso conto del loro legame.

Negli altri componimenti della raccolta, in parte scritti nel periodo tarantino, la Merini esterna i suoi sentimenti per il poeta medico e dimostra stima per le sue qualità culturali, ma dedica versi anche ad altri intellettuali e artisti con cui ha coltivato stretti rapporti in quegli anni. Le prime poesie sono per il pittore Giulio De Mitri, al tempo ancora giovane, che ha sempre dimostrato per l’opera della poetessa milanese un grande interesse. L’artista viene descritto come un uomo capace di comportamenti pieni di umanità, pregio che non si rivela solo nei suoi quadri ma anche nel suo inesauribile amore per la poesia, un capestro sopra la sua testa che lo avrebbe allontanato dal capestro della vita, in una visione fortemente pessimistica dell’esistenza. “…eppure quel capestro tu tienilo forte / ti porterà un po’ su impiccandoti / oltre il grosso capestro della vita.”

In un’intensa lirica scritta prima del secondo matrimonio la Merini racconta una vita segnata dalle privazioni a causa della malattia di Carniti, “Io piango / perché dedicare la vita a un infermo / quando tanto malata è l’anima mia…”, segue una lettera a Pierri e la poesia “Anima mia” a lui indirizzata, in cui Alda lo invoca di salvarla concedendole il suo amore: “Anima mia poiché furibonda / cresce la notte fuori d’ogni porta / l’anima mia tu libera e seconda…”.

Dopo la morte del poeta la Merini mantenne i contatti con gli intellettuali conosciuti a Taranto, anche per ricordare i giorni felici trascorsi con Pierri; il legame con la cultura tarantina si rivela nella lettera del dicembre 2003 indirizzata a Pasquale Pinto, poeta operaio molto stimato dall’autriceper le denunce sociali contenute nelle sue liriche. Critiche presenti anche in alcune poesie della piccola raccolta riportata alla fine del volume, successiva alla permanenza a Taranto e scritta in dialetto milanese. La Merini prendeva spunto da uno scherzo dell’editore Vanni Scheiwiller, che ironizzava sul suo desiderio di ricevere il Nobel per la letteratura. I brani furono tradotti in italiano da Alberto Casiraghy.

Anche in questa silloge compaiono letterati e intellettuali conosciuti dall’autrice non solo a livello artistico, ma anche nella loro personalità. In “Padroni” si riafferma il tema sociale, con una presa di posizione forte contro lo sfruttamento della manodopera da parte degli imprenditori: “Hai lavorato per loro tutta la vita / e poi ti tagliano via le cinque dita.”

“Furibonda cresce la notte…” è un’ulteriore testimonianza, supportata dalle fonti epistolari, della personalità irrequieta ma allo stesso tempo capace di esprimersi nella dolcezza del canto poetico di Alda Merini, che dalla vita ha avuto un unico punto fermo, la sua predisposizione per la scrittura. La suacreatività espressa in versi spaziava dalla lirica d’amore, con toni profondi e appassionati, al dialetto con componimenti in parte ironici. Una poesia sincera, molto più delle chiacchierate durante cui l’autrice amava divagare, che come pennellate di artista ha dipinto un’esistenza aliena dalla felicità e dalla serenità, caratterizzata dal dubbio e dal dolore interiore.

 

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